Da questo declivio s’ode il Tevere sussurrare, dolcemente, qui ai piedi del palazzo ove venni al mondo, nel cuore della città sempiterna e nei fasti dei beni di famiglia, ch’io mai conobbi, ma che mossero invidia financo al Pontefice, talché fermo sentenziò la condanna mia.
Artisti, poeti e musici ispirai, eppur consolazione mai trovai. La mia memoria riecheggia perpetua nei vicoli e per l’arco, che funesto s’apre sulla piazza in cui m’aggiro ancora nelle sere settembrine… Parricida sono, rea giammai! Persi la testa, ma non il senno. E col nome mio, alfine, battezzaron le strade qui nel ghetto: Beatrice Cenci.
da “Roma in cento parole”, AA. VV, Giulio Perrone Editore
Monte de’ Cenci di Giorgia Sbuelz