Il 12 gennaio a Roma, presso il Museo Storico della Fanteria, è stato l’ultimo giorno utile per visitare la mostra dedicata al grande pittore espressionista Antonio Ligabue e noi di Daedalus non ce la siamo fatta scappare.
Sapevamo già che grande artista fosse Ligabue, egli trovò nella pittura la salvezza dopo una giovinezza difficile e piena di sofferenza, fu definito un artista outsider, ma vedere le sue opere dal vivo, capirne la natura, lo sviluppo e il loro processo ha reso tutta l’esposizione un momento di grande interesse.
Ligabue era considerato un reietto, un uomo fuori dalla società, anche se durante il corso della sua vita l’arte è stata motivo di riscatto.
Inizialmente dipingeva quadri per guadagnarsi un piatto di minestra, finché fu salvato dagli altri artisti, in primis Mazzacurati ne riconobbe la bravura. Per tutti era considerato solo un matto, che però cominciò piano piano ad essere riconosciuto nella sua talentuosità.
Ligabue era un uomo tormentato ed estremamente lucido, considerato per molti un fenomeno anomalo che riuscì a trovare la sua dimensione nei boschi cercando di richiamare gli animali con dei versi particolari, di parlare nella loro lingua, poichè questa umile anima si sentiva uno di loro.
Ligabue era un uomo tormentato ed estremamente lucido, considerato per molti un fenomeno anomalo che riuscì a trovare la sua dimensione nei boschi cercando di richiamare gli animali con dei versi particolari, di parlare nella loro lingua, poichè questa umile anima si sentiva uno di loro.
Dipingeva animali estremamente vitali e seguendo il corso della mostra ne abbiamo preso piena consapevolezza.
Catturati da ogni quadro esposto, ogni animale raffigurato si rivolgeva a noi che lo stavamo osservando, cavalli, cani, galli, gufi… fermi lì con occhi vivi ed espressivi, gli stessi occhi del loro creatore.
Un artista senza scuola, senza Accademia, senza maestri che ha saputo lasciare comunque traccia di sè anche se non amato dai critici dell’epoca. Nessun critico si è mai esposto per lui, ciò nonostante “Il San Francesco dell’Arte”, con la sua triste e turbolenta vita, ha fatto centro nella tela salvando se stesso.
Tutta la mostra si è sviluppata su un unico piano. Raccoglie oltre sessanta opere, tra sculture, pitture e disegni provenienti da una collezione privata, suddivise in cinque aree tematiche, con un particolare focus sull’uso della psicologia nel mondo dell’arte.
Non erano presenti tele come il Leopardo e l’Aquila, la Tigre e il Serpente, ma lasciamo il Museo pienamente soddisfatti.